EMOTRASFUSIONI E MOTIVAZIONI RELIGIOSE:

SOLUZIONI PROSPETTATE

Dr. Lelio Mario Sarteschi

Dipartimento di Medicina della Procreazione e dell'Età Evolutiva

Università degli Studi di Pisa

Introduzione

In tempi recenti si è assistito allo sviluppo di una ricerca multidisciplinare mirante a ridurre al massimo l'utilizzazione del sangue nella terapia medico-chirurgica. Le ragioni di tale ricerca sono molteplici.

In primo luogo vi è la crescente consapevolezza dei pericoli legati alle trasfusioni di sangue. E' indubitabile infatti che, nonostante i progressi compiuti, non si è ancora in grado di eliminare del tutto le complicanze post-trasfusionali (1). Alle mai sopite apprensioni derivanti dal virus noti -epatite ed AIDS (2) in particolare - si è aggiunto recentemente il timore della contaminazione da agenti infettivi poco conosciuti (si veda per esempio il crescente allarme per il prione del morbo di Creutzfeld-Jacob (3). In molti studi clinici le trasfusioni sono state associate ad incremento di recidiva e ridotta sopravvivenza dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico per neoplasia (4) e inoltre sono state implicate nella genesi delle complicanze infettive post-operatorie, sia in pazienti sottoposti a chirurgia addominale (5) che ortopedica (6). Più recente è la pubblicazione dei dati secondo cui le trasfusioni peri-operatorie costituiscono un indipendente fattore di rischio nella c.d. "multiple organ failure"(MOF) post-traumatica (7).

In secondo luogo c'è la continua pressione dei centri trasfusionali perché sia perseguita con rigore la politica dei cosiddetto "buon uso del sangue". Come è noto, questa risorsa è frutto di donazioni volontarie e pertanto ogni spreco, come l'impiego del sangue intero e le trasfusioni inutili nei malati terminali, dovrebbe essere evitato.

Si deve tener conto inoltre, che mentre in alcune aree geografiche vi è un'alta disponibilità di sangue, in altre vi è carenza, e in situazioni catastrofiche anche le zone ad alta disponibilità potrebbero rapidamente impoverirsi.

Ancora più interessanti in proposito sono i recenti studi pubblicati, secondo cui sembra che il mondo abbia bisogno ogni anno di 7,5 milioni di litri di sangue in più. Gli esperti prevedono che entro il 2030 mancheranno ogni anno, nei soli Stati Uniti, 4 milioni di unità di sangue (8).

Un terzo settore che stimola la ricerca, specialmente nel campo dei sostituti dei globuli rossi, è quello delle situazioni di emergenza. Sostanze capaci di ripristinare il volume ematico e velcolare l'ossigeno, di pronta utilizzazione anche al di fuori dell'ambiente ospedaliero, sarebbero estremamente utili nelle circostanze di gravi disastri naturali. incidenti stradali o conflitti militari. La spinta maggiore alla ricerca nella medicina senza sangue viene però dal costante incremento, a livello mondiale, di coloro che per motivazioni religiose, rifiutano assolutamente le trasfusioni di sangue, i "testimoni di Geova". La crescente presenza di questa comunità religiosa (in Italia ci sono oltre 220.000 Testimoni - 1 ogni 255 persone - ma la cifra raggiunge i 400.000 se si aggiungono i simpatizzanti), ha fornito un eccellente stimolo alla ricerca di strategie e strumenti terapeutici, che pian piano vengono utilizzati con profitto anche su coloro che non fanno obiezione di tipo religioso.

In questa relazione partiremo dunque proprio dal problema del trattamento di chi dissente alle trasfusioni di sangue, vedremo quali sono le risorse attuali nella tera-pia e quali i futuri sviluppi della medicina senza sangue.

Linee guida nel trattamento dei pazienti che dissentono all'uso delle trasfusioni di sangue 

Il paziente che rifiuta trasfusioni di sangue, anche a rischio della propria vita, pone al medico una serie di difficoltà, etiche, legali e tecniche, che potrebbero generare inutili conflitti e pericolose perdite di tempo.

Per risolvere questa difficoltà, in una recente consensus conference sono state presentate alcune linee guida da utilizzare nel trattamento dei pazienti testimoni di Geova (9).  Riteniamo che tali indicazioni, se applicate, potrebbero esitare, sia in un  miglior trattamento di questi pazienti, che in un avanzamento nell'esperienza della medicina senza sangue, sicuramente utile per tutti.

Queste sono le linee guida proposte:

l . Accettare la limitazione che il sangue allogenico non può essere usato.

2. Usare le alternative al sangue allogenico ove possibile e appropriato.

3. Discutere le conseguenze con il paziente. inclusa la possibilità di un'emorragia che può mettere in pericolo la vita o addirittura provocare la morte se non viene trasfuso.

4. Se non si può o non si vuole trattare un paziente testimone dì Geova, stabilire di trasferire il paziente in una struttura disponibile come ad esempio i Centri di Chirurgia Senza Sangue.

5. Contattare il locale Comitato di Assistenza Sanitaria dei Testimoni di Geova per informazioni e aiuto (la congregazione dei testimoni dì Geova ha istituito locali comitati sanitari che sono costituiti da membri della congregazione ben informati e preparati per fungere da tramite fra il medico e il paziente).

6. Cercare assistenza legale quando si ha a che fare con un adulto in stato di incoscienza o incompetente, andare alla ricerca di una precedente sentenza.

Queste direttive si basano su una avanzata concezione del rapporto medico-paziente, che tiene conto dell'individuo nella sua integrità psico-fisica ed è perfettamente in sintonia con le norme sul "consenso dell'avente diritto" esistenti nel nostro Paese (10, 11).


Revisione critica del bisogno trasfusionale 

L'accettazione del paziente, con i limiti imposti dalle sue credenze religiose, non deve però significare rassegnazione e senso di impotenza. E' necessario tener presente che l'esperienza internazionale sui testimoni di Geova ha dimostrato come si possa fare a meno delle trasfusioni di sangue anche nelle circostanze più disperate, purché si applichino adeguate strategie terapeutiche (12). L'analisi dei dati pubblicati su testimoni di Geova sottoposti ad alta chirurgia senza trasfusioni di sangue ha infatti permesso di scoprire che il rifiuto trasfusionale aggiunge un rischio di mortalità da anemia valutabile approssimativamente tra lo 0,5% e l'1,5%. Poiché però ogni trasfusione ha un potenziale di reazioni avverse, tra lievi e gravi, valutabile intorno al 20% (13),  Kitchens ritiene che la morbilità e la mortalità conseguenti alle trasfusioni probabilmente superano i rischi derivanti dal rifiuto trasfusionale (14).

E' proprio dall'esperienza maturata nei centri dove si opera con i Testimoni nel pieno rispetto delle loro convinzioni che si è giunti negli ultimi anni ad una revisione critica dei livelli di concentrazione emoglobinica compatibili con la vita. Alla consensus conference tenuta nel 1988, sotto l’egida della FIDA e del N1H, si concluse che il valore trigger di 10 g/dL di Hb era senza basi scientifiche e si propose un nuovo valore standard di 7 g/dL (15). Oggi sappiamo che la sopravvivenza è possibile a concentrazioni emoglobiniche estremamente basse (1,4 g/dL), mentre la mortalità, con incidenza peraltro sconosciuta, si comincia ad incontrare al livelli di Hb inferiori a 5 dL. Per livelli superiori a 5 g/dl- non esistono prove fondate di un sostanziale incremento di mortalità (16). Ovviamente la non esistenza di un 'trasfusion trigger" non significa che tutti i pazienti possano tollerare bassi livelli di emoglobina senza conseguenze; la presenza di coesistenti patologie può limitare notevolmente il grado di anemizzazione sopportabile. Ciò che si deve puntualizzare è il fatto che non possiamo attenerci a valori standard di concentrazione emoglobinica per affermare il bisogno trasfusionale; tale necessità deve essere valutata caso per caso. La sola base scientifica per l'intervento trasfusionale sta nella dimostrazione della caduta del rapporto fra trasporto e consumo di ossigeno al di sotto di un livello critico, che si riflette in un incremento dei livelli di lattato per attivazione del metabolismo anacrobio (17) . Attualmente i parametri per monitorare lo stato di questo rapporto critico (CO, CaO2,  DO2, VO2, OER) sono misurabili solo con metodiche invasive (catetere di Swan-Ganz).


Strategie terapeutiche non trasfusionali 

Si deve innanzitutto considerare la grande differenza esistente fra interventi in elezione e trattamenti di urgenza. La diagnosi precoce, di grande importanza per ogni paziente, può essere fondamentale nel trattamento del paziente che rifiuta le emotrasfusioni. Si dovrebbe compiere ogni sforzo per condurre al letto operatorio il soggetto con il migliore assetto ematologico. A questo riguardo, dato che i Testimoni rifiutano il predeposito, diversi Autori hanno trovato utile massimizzare i livelli di emoglobina preoperatoria, facendo precedere gli interventi chirurgici da cicli di 3-4 settimane di terapia con eritropoietina e ferro. E' stato dimostrato infatti in ogni campo della chirurgia, che la somministrazione di eritropoietina ricombinante nel periodo perioperatorio incrementa la concentrazione emoglobinica e aiuta a prevenire l'anemizzazione post-operatoria. La stimolazione dell'eritropoiesi è resa evidente dall'incremento della conta dei reticolociti nel terzo giorno di trattamento. L'equivalente di una unità di sangue è prodotta nell'arco di una settimana, mentre l'equivalente di cinque unità è prodotta in 28 giorni. Pertanto la terapia di quattro settimane con EPO produce un tasso di eritropoiesi pari a 2,5 volte il valore normale e consente di pianificare interventi in cui sia prevedibile una perdita di sangue pari a 5 unità (18). L'importanza di una adeguata preparazione è stata evidenziata recentemente dalla pubblicazione dei primi lavori sui trapianti di fegato compiuti senza l'impiego di sangue e emoderivati (19).

Durante l’intervento chirurgico si dovrà prestare particolare attenzione alle procedure che consentono di ridurre le perdite di sangue (corretta pianificazione preoperatoria, embolizzazione arteriosa selettiva, meticolosa emostasi, emodiluizione normovolemica, emodiluizione ípervolemica, recupero intraoperatorio del sangue, ipotensione controllata ed eventuale uso di agenti emostatici) e al mantenimento del volume circolante e dell'output cardiaco (plasmaexpanders e cardiocinetici). Altri presidi fondamentali, che possono essere impiegati anche al di fuori del contesto operatorio, nei reparti di terapia intensiva, sono quelli miranti a massimizzare la disponibilità di ossigeno (ventilazione assistita con alte concentrazioni di ossigeno; eventuali cicli in camera iperbarica; impiego dei sostituti dei globuli rossi non derivanti da sangue umano o animale, come i perfluorochimici e l’emoglobina ricombinante) e le procedure volte a ridurre il consumo di ossigeno (lieve ipotermia; sedazione; blocco neuromuscolare con ventilazione assistita) (20). La piastrino-aferesi, già usata nella chirurgia cardiaca è stata recentemente utilizzata anche nei trapianti di fegato, consentendo di reinfondere ai pazienti il proprio plasma ricco di piastrine alla fine dell'intervento. E' stato calcolato che con tale tecnica si riduce la richiesta di trasfusioni di circa il 40%  (21).

Più difficile ovviamente è la gestione delle situazioni di emergenza. In questi casi è più che mai importante l'attenta valutazione iniziale e la stretta sorveglianza. Si devono ridurre al minimo i prelievi di sangue per il monitoraggio dei parametri ematici. In uno studio compiuto in una unità di terapia intensiva è stato dimostrato come i pazienti ivi ricoverati erano soggetti ad una media di quattro prelievi al giorno, con una perdita ematica calcolata di circa 1 litro di sangue per tutto il periodo di degenza (22).

Non si deve ritardare alcuna procedura diagnostica (gastroscopia nell'ematemesi, per es.) e bisogna rendersi disponibili per intervenire anche se i livelli di emoglobina sono bassi.  Una équipe chirurgica con vasta esperienza nel trattamento dei testimoni di Geova riferisce quanto segue: "Nella nostra serie di testimoni di Geova attivamente sanguinanti, l'iniziale trattamento conservativo con terapia chirurgica dilazionata ha portato ad un tasso di mortalità pari al 75%, rispetto al tasso del 20% ottenuto da quando si effettua l'operazione di emergenza entro le 24 ore dall'ingresso in ospedale ... Quando la perdita di sangue (durante l'intervento) è stata inferiore a 500 ml, nessun paziente è morto, indipendentemente dal livello di emoglobina preoperatoria" (23).


Sviluppi futuri della medicina senza sangue

Gli sviluppi futuri della medicina senza sangue sono legati, certamente agli avanzamenti delle tecniche chirurgiche, ma soprattutto alla utilizzazione clinica dei sostituti artificiali del sangue e dei fattori di crescita emopoietici.

La ricerca nel campo dei sostituti artificiali del sangue ha progredito recentemente in varie direzioni.

Il plasma può essere sostituito, per la sua funzione volumetrica, da preparazioni colloidali, che esercitano una pressione osmotica analoga a quella delle proteine plasmatiche. Questi preparati sono da molto tempo a disposizione in diverse soluzioni (gelatina, destrano, amido idrossietílico), ma nuovi prodotti stanno per essere immessi sul mercato, con maggiori capacità di rimpiazzare il volume ematico durante gli interventi operatori (si veda il sito http://www.biotimeinc.com/). Molto più difficile è la sostituzione delle proteine plasmatiche. Attualmente sono disponibili alcuni fattori implicati nel meccanismo della coagulazione, prodotti per mezzo della ricombinazione genica, come il Fattore VIII (si veda il sito http://www.ahp.com/products/rhahf.htm), il Fattore IX (si veda il sito http://www.genetics.com/genetics/genetics/products/benefix/index.htm), il Fattore VIIa (si veda il sito http://www.novo.dk/health/cd/facts.asp).

E' in preparazione il Fattore X (si veda in Medline http://www.healthgate.com/cgi-bin/q-format.cgi?f=G&d=fmb97&m=197938&ui=97417727). Ma interessanti sviluppi a breve termine potrebbero venire dalla utilizzazione degli animali transgenici (si veda sito: http://www.genzyme.com/ir/gztc/welcome.htm). Le proteine transgeniche sono prodotte inserendo DNA umano in cellule animali, così che dal latte delle femmine discendenti si possono ricavare le molecole desiderate. Tutte le proteine plasmatiche possono teoricamente essere prodotte con questo sistema; l'antitrombina III è attualmente in fase due di valutazione clinica (http://www.genzyme.com/ir/gztc/at3.htm), mentre l'albumina è in fase di preparazione (http://www.genzyme.com/ir/gztc/humserm.htm).

La ricerca di un sostituto dei globuli rossi è iniziata circa 40 anni addietro, ma ha ricevuto un notevole impulso solo recentemente, specialmente in seguito alla epidemia di AIDS. Le strade percorse fino ad oggi sono due, quella dell'emoglobina modificata e quella dei perfluorocomposti (PFC).

L'emoglobina modificata è oggi prodotta sia da globuli rossi, umani (sì veda il sito Hemosol Inc:  http://www.hemosol.com/ ) o animali (si veda il sito Biopure Corporation  http://www.biopure.com/html/hemopure.html ) che con la ricombinazione genica (si veda ìl sito Baxter:  http://www.baxter.com/doctors/blood_therapies/hemo_therapeutics/index.html ).  L'attuale emoglobina artificiale si è dimostrata capace, non solo di agire efficacemente quale trasportatrice di ossigeno, ma anche di stimolare il midollo osseo alla produzione di globuli rossi (si veda NoBlood.com - Recombinant Human Hemoglobin for Patients with Anemia: http://www.noblood.com/dept/articles/info.asp?Id=1494).

Attualmente ci sono almeno sei aziende produttrici di questo sostituto dei globuli rossi, due delle quali in fase tre di valutazione clinica; ma già una seconda generazione è in preparazione, con lo sviluppo di emoglobina microincapsulata (veri globuli rossi artificiali. all'interno dei quali potrà essere incluso un sistema multienzimatico).

I perfluorocomposti sono sostanze di sintesi organica, note per la loro elevata capacità di trasportare l'ossigeno. La prima generazione di questi prodotti, sviluppata per uso clinico nel 1976 (Fluosol DA), aveva notevoli limiti: Richiedeva che il paziente respirasse ad alte tensioni di ossi-eno per essere efficace, era rapidamente rimossa dal circolo e ritenuta nel sistema reticolo-endoteliale, provocandone soppressione, e in alcuni pazienti provocava attivazione del complemento. Per tali ragioni il Fluosol non ha ottenuto l'approvazione della FDA come sostituto dei globuli rossi. La ricerca è tuttavia proseguita. Attualmente una nuova generazione di perfluorocomposti è venuta all'esistenza, con almeno tre aziende dedicate alla sperimentazione (si veda Alliance Pharmaceutical Corp.:

http://www.allp.com/ox.htm , Synthetic Blood International:

http://www.sybd.com/Synthetic.html) e la russa Perftoran (si veda Perftoran: http://www.perftoran.ru//)  Il prodotto dell'Alliance Pharmaceutical, OxygentR è attualmente in fase 2 di sperimentazione clinica.

Un nuovo orizzonte sembra che si stia aprendo anche nella produzione di piastrine artificiali. La Keio University, in collaborazione con la Green Cross Corp, sta sviluppando un prodotto costituito da liposomi ricoperti da GP1b, una glicoproteina che si trova sulla superficie delle piastrine, il cui ruolo è quello di legarsi ad altri fattori della coagulazione per formare l'impalcatura del coagulo. La glicoproteina è prodotta con ingegneria genetica ed ha la stessa struttura di quella umana (si veda NoBlood.com - Checkpoints ori Road to Artificial Blood: http://www.noblood.com/dept/articles/info.asp?Id=1589)

I fattori di crescita emopoietici costituiscono l'altro fronte, denso di prospettive soprattutto in campo medico. Tali sostanze sono implicate nella produzione delle diverse cellule ematiche; i geni per molte di esse sono stati clonati, così che è oggi possibile produrne una grande quantità mediante l'ingegneria genetica.

La proliferazione delle cellule staminali, dalle quali, come è noto originano le diverse linee cellulari del sangue è stimolata dallo Stem cell factor (SCF). Oggi esso è disponibile per la sperimentazione clinica ed ha già completato la fase 3 (si veda Amgen: http://wwwext.Amgen.com/product/Pipeline.html#stemgen)

La produzione di granulociti, monociti/macrofagi e linfociti-T è potenziata dai Myeloid growth factors (G-CFS e GM-CFS), fattori di crescita già in uso clinico come supporto nei pazienti sottoposti a chemioterapia e trapianto di midollo osseo (http://www.neupogen.com/pub/index9.htm). Per circa 30 anni gli ematologi hanno cercato il regolatore umorale delle piastrine, la trombopoietina. Tale fattore è particolarmente desiderato in ambito oncologico, allo scopo di ridurre le trombocitopenie causate dalle chemioterapie mielosoppressive (cfr http://www.pslgroup.com/dg/3ecba.htm). Attualmente sono almeno tre i prodotti dell'ingegneria genetica utilizzabili per tale scopo. Due di essi sono in fase 2 di sperimentazione: la trombopoietina (TPO - si veda: http://www.gene.com/Pipeline/pipeline.html#3) e il fattore di cresscita e sviluppo dei megacariociti (PEG- rHuMGDF,  prodotto da Amgen),  una è stata recentemente licenziata per l'utilizzazione clinica, l'interleuchina-11 (IL-11 si veda: http://www.neumega.com/default.asp).

Dell'eritropoietina (EPO) , potente stimolatore dell'eritropoiesi, oggi impiegata non solo in corso di insufficienza renale, ma anche in altre forme di anemia  (http://www.thebody.com/ortho/procrit/full.html, si è già detto a proposito della preparazione agli interventi chirurgici.

L’insieme delle prospettive ha permesso lo sviluppo, nel Nord America, ma sempre più anche nel resto del mondo, dei cosiddetti "programmi di medicina senza sangue" (si veda: http://www.trasfusionfree.com/).

A coadiuvare questa ricerca, che potrebbe diventare una vera e propria disciplina autonoma all'interno degli studi delle facoltà di Medicina, vi sono attualmente diversi siti internet. Nell'intento di promuovere questo tipo di studi, la Divisione di Chirurgia Generale dell'Università di Pisa (Dipartimento di Oncologia), sotto la direzione del prof. Franco Mosca, ha recentemente linkato una pagina apposita dedicata alla ricerca nel campo della medicina senza sangue. Il sito, il cui indirizzo è http://www.med.unipi.it/patchir/bloodl/bmr-it.htm è in continua evoluzione e permette un aggiornamento costante, grazie al monitoraggio mondiale continuativo compiuto dagli operatori.


Conclusioni

Lo sviluppo tecniche e prodotti che riducono o addirittura annullano la necessità del ricorso alle trasfusioni allogeniche ha ricevuto un forte impulso in anni recenti. Inevitabili complicanze post-trasfusionali, continua sollecitazione al buon uso del sangue da parte dei centri trasfusionali, pericolo di gravi emergenze sanitarie e crescita del rifiuto emotrasfusionale per motivazioni religiose, costituiscono un insieme di fattori altamente stimolanti per la ricerca, che attualmente è giunta al rango di una vera e propria disciplina universitaria.

La rete informatica mondiale (World Wide Web) è sicuramente lo strumento più valido per lo scambio di esperienze e il continuo aggiornamento in questa disciplina dal rapido progresso.



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